Alison Jackson
Londra, 1960Vive e lavora a Londra
Il lavoro di Alison Jackson appartiene alla simulazione, creare un clone o una copia del "reale" su carta. Non è un falso, semplicemente sostituisce il posto del "reale" per l’attimo dello scatto.
Come dice Baudrilland, la simulazione è diversa dal fingere. Il fingere è simulare, come fingere una malattia o fingere di essere malati. Il soggetto non è malato, sembra che lo sia ma "la simulazione minaccia la differenza tra vero e falso , tra reale e immaginario . Dal momento che il simulatore produce sintomi "veri" la nostra riflessione verterà sulla questione identificativa del se è reale la malattia e se trattarlo come malato o no.
La fotografia di Alison Jackson crea un'immagine delle icone dove la simulazione delle stesse minaccia la differenza tra il vero e il falso , tra il reale e l’ immaginario. Il soggetto diventa ‘non necessario’ poiché nell’immaginario l'icona è più importante e più seducente. Non importa se l'icona è reale o no, la necessità è che la rappresenti e crei una confusione temporanea. L’artista ricerca questa confusione e la crea nel suo lavoro.
Il suo obiettivo è esplorare i confini sfocati tra realtà e immaginario, il divario e la confusione tra i due. Si usano sosia di celebrità e personaggi pubblici per creare uno scenario apparentemente reale, che in realtà è una simulazione. La somiglianza diventa reale ed il fruitore è incredulo. Si cerca di evidenziare la relazione psicologica tra ciò che vediamo e ciò che immaginiamo. Questo è legato al bisogno di guardare, il bisogno di credere.
La Galleria Raffaella De Chirico propone il lavoro di Alison Jackson per sondare il limite dell’essere umano. Ricreare una mise-en-scène che scuota nel profondo la necessità del voyeurismo mediatico creato dal bisogno narcisistico umano e dalla importanza eccessiva dell’immagine. Si finisce per dipendere sempre di più dalle conferme dell’altro.