Galleria d'Arte
Raffaella De Chirico

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LA STAMPA - TORINO SETTE | Nelle bambole il volto della dissidenza | Liu Xia

24/09/2015

E’arrivato fino a Torino l’urlo di Liu Xia: artista, poetessa e fotografa cinese «rea» di essere la moglie dell’attivista Liu Xiaobo. E condannata dal 2010 a una prigionia parallela a quella del marito Nobel per la Pace: lui in carcere, lei ai domiciliari (senza aver subito un processo), isolata dal mondo. Mentre le sue opere e la sua denuncia fanno strada: ultima tappa la Galleria di Raffaella De Chirico, che da giovedì 24 (ore 18-22) accoglie «The Silent Strenght of Liu Xia».



Una raccolta di tredici scatti che l’economista francese Guy Sorman è riuscito a far uscire da Pechino e dal 2011 scuote l’Occidente. Dopo l’esordio a Boulogne-Billancourt, le repliche alla Columbia University di New York e nei musei di Bratislava, Berlino e Praga, quella torinese è la prima occasione in Italia per conoscere Liu Xia. Una delle poche: la cinquantaseienne si trova di nuovo agli arresti, senza possibilità di incontrare la stampa. Una situazione che dura dal novembre del 2010, quando cioè si diffonde la notizia del premio norvegese per il marito: il regime di Pechino rafforza le misure contro la famiglia e gli amici, per impedire loro di ritirare il premio e rilasciare dichiarazioni. Le violenze contro la coppia di dissidenti in realtà cominciano molto prima: Liu Xiaobo, letterato e accademico di prestigio internazionale è uno dei protagonisti di piazza Tienanmen.



Dall’89 la sua vita è un susseguirsi di rivendicazioni (per una maggiore libertà di espressione, soprattutto) e censure, che colpiscono anche la moglie. Le viene vietato di esporre, nonostante non partecipi alle attività di Liu Xiaobo. Non firma nemmeno la Charta ’08, il documento per i diritti umani che a lui costa l’ultima condanna (era il 2008). Addirittura dichiara in una delle rare interviste: «Mi comporto come se vivessi in un mondo diverso. A casa discutiamo di politica il meno possibile perché mio marito sa che non sono appassionata».



Nelle sue immagini in effetti non c’è la Cina, ma tutto l’orrore della repressione e il grido coraggioso di chi non si arrende: sono scene di interni, composte in casa durante i domiciliari degli anni ’90. In primo piano le «ugly babies», bambole che danno un volto all’angoscia e rimandano ai manichini di Maurizio Cattelan. Con la forza evocativa dell’artista e attivista Ai Weiwei e – sottolinea il curatore Sorman - «una speciale attenzione per le tradizioni calligrafiche cinesi che emerge dalla scelta del bianco e nero». In via della Rocca 19, fino al 31 ottobre: mar.-mer. 14-19, giov.-sab. 11-19. Info www.dechiricogalleriadarte.com, 011/83.53.57.

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